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'L canton piemontèis dla letura

L'angolo piemontese della lettura
 
Antichi mestieri del Piemonte
Gian Vittorio Avondo
Collocazione: P 390 AVO
Il racconto di un Piemonte che non c’è più: quello degli antichi mestieri itineranti, che si praticavano quando i campi erano a riposo per arrotondare i magri bilanci familiari. Dagli acciugai della val Maira agli arrotini, dai brustiaìre, i pettinatori di canapa di Ostana e della valle Po, ai caviè di Elva, agli ombrellai del Verbano. E poi i materassai, i mercanti ambulanti, i musicanti e i pittori di strada, gli stagnini, i vetrai, i misteriosi rabdomanti e i piccoli spazzacamini dell’Ossola. Un mondo segnato dalla fatica, ormai quasi scomparso e di cui sono rimasti pochi testimoni, ricostruito con una minuziosa ricerca documentale e con un ricco apparato iconografico, in gran parte inedito, proveniente da archivi delle comunità locali e di privati. 
 
Mestieri antichi patrimonio moderno
Guido Mauro Maritano
Collocazione:   P 3920 MAR
Nel tramandare i discorsi e le notizie dei protagonisti degli antichi mestieri -o meglio attività, come preferisco chiamarle io- ho cercato di essere il più fedele possibile al modo di espressione di questi cronisti, il parlare semplice e comune delle genti delle campagne o delle montagne perché credo che faccia parte esso stesso dell’ambiente in cui hanno vissuto e dove hanno appreso i metodi e l’arte dei loro lavori. La loro descrizione dell’attività è “l’attività stessa”, come l’hanno vissuta e come l’hanno sentita. Il mio proposito è quello di fare sì che il lettore abbia la sensazione di parlare direttamente con gli anziani protagonisti delle attività antiche e possa così immergersi meglio in un mondo ormai scomparso o quasi.
                       
Dnans ch'a fàssa neuit Prima che scenda il buio.
Lucianao Gibelli
Collocazione:  P 390 GIB
Ij temp ch’i vivoma a son coj ch’a son…
E pòch për vòlta a në slontan-o sempe pì 
da la realtà dle ròbe; la gent a l’é anclinà a ’rcordé 
lòn ch’a meriterìa d’esse dësmentià e a dësmèntia, 
nompà, lòn ch’a ventrìa arcordé.
Coste pagine a s’arviro a la costuma e a veulo 
dé na frisa ’d pas al modern afann arfugiàndse 
ant l’arcòrd ëd le ròbe dël temp passà: pressiosità, 
memòrie ’d na cultura e ’d na siviltà ch’a venta 
nen dësmentié për feje scampé.
 
I tempi che viviamo, son quelli che sono… 
E poco alla volta ci allontaniamo sempre più 
dalla realtà delle cose; la gente è propensa a 
ricordare ciò che meriterebbe d’essere 
dimenticato e dimentica, invece, quello che 
varrebbe ricordare.
Queste pagine si ribellano alla consuetudine 
e vogliono dare un po’ di pace al moderno affanno 
rifugiandosi nel ricordo delle cose del passato: 
preziosità, memorie d’una cultura e d’una civiltà 
che non si debbono dimenticare per farle sopravvivere.
 
Fam, füm, frecc: il grande romanzo degli spazzacamini Valle d'Aosta, Valle Orco, val Cannobina, val Vigezzo. Canton TicinoBenito MazziCollocazione: P 390.409709 MAZ                                             
Nel grande romanzo dell'emigrazione, per secoli risorsa primaria di tante vallate alpine, pagine molto dolorose sono state scritte dagli spazzacamini, il cui fenomeno ha caratterizzato le più povere di queste terre, dove la maggior parte delle famiglie, pur di togliere qualche bocca al misero desco quotidiano, si sono viste costrette, fino alle soglie degli anni Cinquanta, ad «affittare» nei mesi invernali, quando nei loro paesi fra i monti non esisteva la più piccola possibilità di lavoro, uno o più figli ai «padroni». Questi, vecchi spazzacamini senza scrupoli, il più delle volte crudeli e inumani, induriti da analoghe esperienze, se li portavano al seguito per «la stagione alla Bassa», nelle pianure nebbiose del Piemonte e della Lombardia, sottoponendoli ad uno sfruttarnento che non ha avuto uguali nel mondo del lavoro minorile delle nostre Alpi. Il bambino, data l'esile statura che gli consentva di introdursi lungo i camini dove l'adulto non entrava, rappresentava la materia prima, la condizione «sine qua non» all'esercizio del mestiere. Quanti di questi poveri bocia hanno compiuto i sei, sette anni nell'inferno della caligine, tra vessazioni, patimenti, fame, fumo e freddo! Quanti di essi non hanno fatto più ritorno alle loro montagne! La figura del bambino che col volto cosparso di fuliggine e gli attrezzi in spalla vaga lacero e affamato di paese in paese, di contrada in contrada, lanciando il grido: «spazzacaminooo», mendicando un piatto di minestra e un tozzo di pane, è ormai retaggio dell'immaginario popolare, di una letteratura spesso troppo oleografíca o superficiale, ma è soprattutto parte integrante della storia della Valle d'Aosta, della Val Cannobina, della Val Vigezzo, della Valle dell'Orco, della Val di Non, della Val Verzasca e delle Centovalli ticinesi, terre un tempo poverissime, dove il fenomeno assunse dimensioni di massa. Questo quaderno ripercorre l'allucinante romanzo degli spazzacamini delle Alpi Occidentali, dalle prime emigrazioni dei 1500 in terre straniere al grande esodo minorile nelle pianure dei Nord Italia di fine Ottocento e primi decenni dei Novecento, attraverso documenti, interviste e testimonianze che hanno richiesto all'autore anni di appassionate ricerche
 
Gli “altri” mestieri delle valli alpine occidentali.
Piercarlo Jorio e Giorgio Burzio 
Collocazione: P 390.09451 JOR
In parallelo con le attività tradizionali della montagna, si è sviluppata una serie di “altri” mestieri che talvolta raggiunsero notevole importanza nel passato socio-economico delle piccole comunità d’altitudine.Per la loro “professionalità”, per la loro storia, per l’accento originale tipico della mentalità montanara, per il loro aspetti anche “strani”, questi mestieri ormai desueti e irripetibili, che fecero parte della 
condizione lavorativa senza conoscere il sistema combinato dell’uomo e della macchina, meritano di essere ricordati. Le loro alterne fortune stagionali sono ormai sfumate e spesso inafferrabili ma la coerenza, nel loro articolarsi di supporto alternativo al poco reddito che la montagna offriva, resta viva come ragione caratterizzante, onda emotiva e anche come programma umano. In questo 
tempo in cui il processo monoindustriale sbarra con il suo grosso pugno lo spazio alle possibilità “libere”, le scelte obbligate dal poco pane e dalla molta fame ci sembrano punti non banali da recuperare
 
Perché in Piemonte ci si salutava con l'espressione “Cerea?”
 
Tra i tanti tipi di saluto presenti in Italia, «Cerea» è senza dubbio uno dei più particolari e curiosi. E sull'origine della parola vi è un secolare dibattito […] il saluto che tutti dovremmo conoscere, il più piemontese che ci sia è senza dubbio il "Cerea”.
 
Per capire l'origine di questo saluto particolare, tanto usato in passato quanto dimenticato  al giorno d'oggi, dobbiamo però fare un salto indietro nel tempo.
Tanti anni fa infatti, il «Cerea» era il tipico saluto dei piemontesi, [---] molto cordiale ma un tantino distaccato, che rispecchia alla perfezione il dna dei cittadini torinesi.
Una contrazione o l'ispirazione greca? Ecco le due teorie
La prima è che «Cerea» derivi dal greco «caireo» ossia «buongiorno». Questa teoria trova le propria fondamenta dalla sopravvivenza dell'influenza greco-bizantina in seguito alla caduta  dell'Impero Romano d'Occidente. La seconda invece sposa l'idea che «Cerea» non sia altro che la contrazione dell'espressione «Saluto alla Signoria Vostra», in cui il termine 
«Signoria» diventa «sereia, serea» a causa di un errore nella comune parlata popolare. [...]
 
Fonti:  http://www.google.it
          http://www.edizionidelcapricorno.it
          http://www.escursinista.it
          http://www.priulieverlucca.it
          http://www.astilibri.com
          http://www.diarioditorino.it
 
Responsabile della pagina: Rosalda Grosso