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editoriale di settembre

 
Ghiaccio bollente
 
Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, un’inaspettata e prolungata ondata di caldo ha colpito le regioni centrali dell’America del Sud. Forse complice anche l’arrivo di una nuova fase di El Nino, il fenomeno climatico che provoca un forte riscaldamento delle acque del Pacifico Orientale, le temperature massime hanno raggiunto i 30 gradi a Buenos Aires, la capitale argentina, e superato i 35 in Cile, alle pendici delle Ande, tra i 1.000 e i 1.500 metri di quota. Non si direbbero temperature proibitive, se non fosse per un significativo dettaglio: da quelle parti fine luglio è pieno inverno, equivalente al nostro febbraio, e quelle temperature sono anche di 20 gradi al di sopra delle medie stagionali.
La persistente area di alta pressione centrata sul Paraguay che ha causato questa anomalia ha risparmiato però l’estremità più meridionale del continente, dove dai campi di ghiaccio Patagonico Nord e Sud si diramano 17,300 ghiacciai, già sottoposti a forte stress per effetto del cambiamento climatico. Le Ande meridionali, come d’altra parte la regione mediterranea, sono un hot spot del riscaldamento globale, e già da decenni i ghiacciai della Patagonia mostrano un tasso di fusione superiore alla media mondiale. Lo stesso Campo Patagonico Nord perde ogni anno quasi 6 chilometri cubi di ghiaccio, mentre ai piedi dei ghiacciai si formano nuovi laghi che, negli episodi più severi, possono inondare gli abitati ai piedi delle Ande.
Robert Draper, assiduo collaboratore di National Geographic, ha percorso la carretera Austral per osservare lo stato di salute dei ghiacciai patagonici, tra panorami spettacolari interrotti qua e là da villaggi che spesso contano appena una manciata di abitanti. E raccontarci la fragilità di uno dei paesaggi più suggestivi del mondo.
 
 
Di Marco Cattaneo
Direttore dell’Edizione Italiana
 
 
 
 
 
 
Pagina a cura di Laura Pesce